Ventitre anni senza la verità per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la giornalista del Tg3 assassinata insieme al suo operatore il 20 marzo del 1994 in Somalia.
Quando è stata assassinata, Ilaria indagava su un traffico di armi e rifiuti tossici dall’Italia al Corno d’Africa. Questa la pista seguita dalle autorità giudiziarie e da ben due commissioni di inchiesta parlamentari. Ma gli sforzi per trovare la verità sono stati fino ad oggi vani, anzi umiliati dall’assoluzione, il 19 ottobre scorso, di Hashi Omar Hassan, il giovane somalo condannato in primo grado con l’accusa di aver fatto parte del commando che trucidò la troupe del Tg3. E’ qui, nella sentenza che stabilisce la totale estraneità di Hassan rispetto al duplice omicidio, che i giudici mettono per la prima volta nero su bianco la parola “depistaggio”.
Un intreccio tra mafie, servizi segreti e la Somalia, stato fallito nel quale la cooperazione italiana portava avanti grandi affari, sul quale la speranza di fare luce viene meno.
“Dopo 23 anni non si può più essere presi in giro dallo Stato italiano. A questo punto basta, non ne voglio più parlare, tanto mia figlia non torna più. Se potesse, mia figlia mi scriverebbe ‘hai fatto male a non farlo prima, dovevi farti rispettare prima’. Solo promesse”. Lo ha detto ai microfoni di SkyTg24 Luciana Alpi, la madre di Ilaria, confermando l’intenzione di abbandonare la sua lotta per ottenere verità sul caso dell’omicidio della figlia.
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