“Cara Stefania,
leggo con interesse le tue dichiarazioni dai quotidiani di oggi.
Come già emerso nella riunione di giovedì scorso, e pur tornando a ribadire il mio direi naturale affetto e rispetto, non posso che prendere atto di un profondo disaccordo sulla analisi del voto. Non è un dettaglio né un capriccio perché, ritengo, dalla analisi del voto discendono le necessarie azioni per risollevare il nostro partito e il centrosinistra tutto, a livello locale quanto nazionale.
Lasciami cogliere l’opportunità di rivolgermi direttamente a te per fare ulteriore chiarezza. Non sono i meriti vostri, tuoi, di Giovanni e di Massimo, a essere in discussione. Io sempre li ho difesi e riconosciuti, in tutte le sedi possibili, perché sarebbe stato disonesto non farlo, sai tu come la gente, io disonesto proprio non sono. Né ho mai inteso o considerato la cosiddetta triade un centro di potere, espressione inquietante, che non si addice a voi, che sempre avete difeso gli interessi e le aspirazioni di questa città, in una fase durissima.
Ammetterai però che una percezione esiste, e di questa percezione non possiamo fare a meno di tenere conto. Perché questa percezione, ora scusami se sono netto per necessità di sintesi, il voto lo ha influenzato, e in parte determinato.
Davvero, non credo serva minimizzare. Non credo che addebitare la sconfitta a un disimpegno dell’elettorato che aveva scelto noi al primo turno colga appieno le cause delle sconfitta stessa. Avremmo perso perché chi ci ha scelto al primo turno pensava di avere già vinto, e perciò ha ritenuto superfluo recarsi nuovamente alle urne? Non eravamo noi, quelli della partecipazione rispetto a un centrodestra tradizionalmente più tiepido di fronte al richiamo ripetuto alle urne? E poi, se questa partita noi la percepivamo come già chiusa, come mai i nostri avversari non l’hanno creduta già persa?
Non sono dati politici, questi? La nostra unità, cara Stefania, non è in discussione, né voglio mettercela io.
Stefania, facciamo però in modo che certe dure lezioni non finiscano archiviate nel campo degli svarioni tattici.
C’entra la politica, nella sua essenza più profonda: credibilità, autorevolezza, parlare alla gente, ascoltarla e capirla. C’entra il modo in cui siamo e ci presentiamo, c’entrano le origini della parola “sinistra”, che si va svuotando.
C’entra la nostra storia; capire come riprendere in mano quei fili che non si sono mai spezzati, né io voglio essere responsabile di averli spezzati.
Con affetto e stima
Pierpaolo”.
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